Baby, è ora di partire!

Alla fine trasferirsi all'estero è un atto di coraggio... e io di coraggio ne avevo da vendere. Si abbandona il certo per l'incerto e ci si apre a nuovi orizzonti. Questo è il momento di partire per una nuova avventura

11/24/20245 min leggere

Il lavoro all'Hotel mi era piaciuto veramente e Ian mi avrebbe assunto all'istante, ma io ovviamente lo frenai, dicendo che dovevo parlarne a casa, prima di prendere una decisone definitiva. Accettare di trasferirsi all'estero è una scelta che porta con se un misto di emozioni, speranze e paure. I sentimenti erano contrastanti. Da una parte volevo questa nuova avventura, dall'altra sapevo che accettarla significava allontanarsi dal mio compagno e dai miei figli, che sebbene ormai adulti, avevano ancora bisogno di me. Ne parlai quindi apertamente con Denis e mio figlio e arrivammo a questa decisione: sarei partita se ci fosse stato l'obiettivo per Denis di raggiungermi a breve-medio termine, nel mentre mio figlio avrebbe continuato a vivere con lui e a frequentare l'Università. Scrissi a Ian dicendo che avrei accettato il lavoro a certe determinate condizioni e lui accettò senza battere ciglio. Decidemmo che avrei iniziato a Gennaio 2012. Diedi le dimissioni in ufficio e mi preparai per la nuova avventura.

Inutile dire che i familiari accolsero la notizia come una doccia fredda e mi guardarono come un marziano, non capendo ovviamente la mia scelta. " Perchè partire? Perchè lasciare tutto quello che hai? " sono domande che risuonano tra le pareti di casa. Le risposte non sono mai semplici. E' difficile spiegare alle persone che ami i motivi personali che ti spingono a scelte così difficili; non riescono a capire la tua voglia di ricominciare per poter essere felice di nuovo, la voglia di sfidare te stessa ancora una volta. Lo vedevano solo come una fuga, una decisone egoistica, non comprendendo quanto questa scelta è stata ponderata, quanto sia costata a livello personale e quanto coraggio ci sia voluto per farla propria.

Partimmo in 4; io, Denis, sua figlia Consuelo e mia nipote Giulia. Il piano era di trascorrere il Capodanno a Edimburgo e poi imbarcarsi per Rothesay il 2 Gennaio. Loro sarebbero rimasti un paio di giorni sull'isola e poi avrebbero ripreso l'aereo per l'Italia. Le previsioni meteo non erano delle migliori per i primi giorni dell'anno. Davano l'arrivo di una tempesta di vento molto intensa. Soggiornammo all'Hotel di Ian e già il giorno stesso dell'arrivo il vento cominciò ad arrivare. Riuscimmo comunque a girare l'isola e mi resi conto veramente di quanto Bute fosse bella e spettacolare dal punto di vista paesaggistico. Quella stessa notte una violentissima tempesta di vento si abbattè sulla Scozia, soprattutto sulla parte occidentale. Raffiche a 200 km orari colpirono l'isola di Bute e la terraferma, provocando interruzioni di energia elettrica, sradicamento di alberi, tetti volati via in un nano secondo; fu un disastro che provocò ingentissimi danni ovunque. Tutti i traghetti furono ovviamente cancellati fino a nuovo ordine. Come benvenuto non era male. Arrivare su un'isola e trovarsi immerso in una tempesta di vento è un'esperienza che mescola adrenalina alla vulnerabilità. Il vento - quel simbolo di cambiamento e di forze incontrollabili- sembrava scuotere non solo l'ambiente circostante ma anche lo spirito di chi si stava trasferendo. In quel momento ci si rende conto di quanto si sia fragili di fronte all'ignoto.

Denis cominciava ad essere preoccupato. L'isola era senza corrente elettrica, senza collegamenti con la terraferma e loro dovevano essere all'aeroporto a Edimburgo di lì a 2 giorni. Aspettammo notizie migliori mentre l'ansia e il nervosismo cresceva con il passare delle ore. Dei traghetti non si sapeva ancora nulla; le notizie che si accavallavano davano per imminente la ripresa della rotta, ma nulla di certo su orari. Avvisammo il portiere di notte che se avesse avuto notizie di riattivazione della tratta tra Rothesay e Wemyss Bay di avvisarci immediatamente a qualsiasi ora. Passammo la notte quasi senza dormire tanto l'ansia era alta. Denis preoccupato mi chiese:" Ma sei sicura di quello che stai facendo?". Ma convinta della mia decisione non mi arresi. Ero arrivata sino a lì e non volevo rinunciare proprio ora. Alle 6:00 di mattina sentimmo bussare alla porta. Era il portiere di notte che ci avvisava che il primo traghetto sarebbe partito di lì a mezz'ora. Fecero i bagagli in fretta, caricarono l'auto e ci salutammo. Fu un saluto straziante, al buio, in strada, frettoloso e carico di emozioni. Ora capivo il dolore di tutte quelle persone che han lasciato i loro cari, le loro famiglie e amici per trasferirsi all'estero. E' come se ti strappassero una parte di te, della tua identità e sei consapevole che quella parte che ti viene tolta la dovrai sostituire con nuovi amici e nuove esperienze, ma ci vorrà del tempo una infinità di tempo. Il dolore dell'addio però è anche una testimonianza di quanto le radici che ci legano alle persone siano forti e Dio sa quanto io mi sentissi legata a quelle persone.

Rimanemmo senza energia elettrica e senza riscaldamento per altri 3 giorni. Ma la gente del posto era tranquilla. Mi dicevano :" Abbiamo candele per illuminare e possiamo usare le bombole del gas per cucinare non ci manca nulla". Era gente abituata alla volubilità del tempo; gente isolana abituata ad essere autosufficiente in qualsiasi occasione ed evenienza. E mi ritrovai a sorridere nuovamente, circondata da persone che sentivo amiche.

Se questo racconto ti ha coinvolto continua a seguire il blog! Nel prossimo post parlerò della mia nuova vita sull'isola di Bute. Non perderti il mio prossimo capitolo della mia esperienza di vita.